Ogni indugio, ogni ritardo, ogni dibattito superfluo e ogni hashtag frettoloso hanno causato dei morti… Perché nel corso di un’epidemia le esitazioni hanno un prezzo in vittime: il costo orario più atroce al quale siamo mai stati sottoposti.
C’è una frase di Marguerite Duras che l’insistenza sulla guerra mi ha ricordato. È un paradosso e dice così: «Già s’intravede la pace. È come un grande buio che cala. È l’inizio dell’oblio». Dopo una guerra tutti si affrettano a dimenticare, ma qualcosa di simile accade con la malattia: la sofferenza ci pone in contatto con verità altrimenti offuscate, mette in ordine le priorità e sembra ridare volume al presente, ma non appena la guarigione sopraggiunge quelle illuminazioni evaporano. Adesso ci troviamo nel mezzo di una malattia planetaria. La pandemia sta passando la nostra civiltà ai raggi X ed emergono verità che svaniranno al suo termine. A meno che non decidiamo di appuntarle subito. Nell’assillo dell’emergenza, che da sola è sufficiente a riempirci la testa — di numeri, di testimonianze, di tweet, di decreti, di moltissima paura — dobbiamo quindi scavarci uno spazio per dei ragionamenti diversi, per osare domande grandiose che trenta giorni fa ci avrebbero fatto sorridere per la loro ingenuità: quando sarà finita, vorremo davvero replicare un mondo identico a quello di prima?
Paolo Giordano
Romano Pisciotti: NON DOBBIAMO DIMENTICARE E AVER FRETTA DI RICOMINCIARE, NON DOBBIAMO RICOMINCIARE MA CAMBIARE.